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Il volume raccoglie tre scritti sull'architettura buddhista antica, contemporanea a quella greca tardo-ellenistica e romana nel bacino del Mediterraneo, con l'affrontare temi in apparenza molto lontani da quelli a cui si è soliti guardare da una Facoltà universitaria italiana di architettura. Scritti da uno dei pochi architetti e storici della sua generazione che hanno affrontato argomenti anche molto lontani dal proprio ambito culturale d'origine, essi trattano di un complesso particolare di architetture realizzate nei territori di nord-ovest del subcontinente indiano tra III a.C. e il IV-VI secolo d.C. tra i due percorsi principali della cosiddetta via della seta. Questi congiungevano il Mediterraneo orientale con l'Asia centro-meridionale e furono tali che, nella valle del fiume Swat, affluente del Kabul a ovest dell'alto Indo, con l'apertura dell'intera area all'Occidente dovuta alla conquista di Alessandro Magno, i seguaci del buddhismo mahayana trovassero condizioni ideali per i loro insediamenti grazie alla lontananza dalle maggiori vie di comunicazione da e per gli altopiani iranici, l'Asia centrale e la Cina.